Wednesday, September 14, 2005

Anibal Damian Avalos ~ (sad) news

Since 2003, Steve and I have been sponsoring a child. His name is Anibal Damian Avalos. He is 4 years old and lives in Paraguay with his grand dad and young mum. I won't post a picture of him here, because we decided to protect his privacy, but we can assure you that he is gorgeous! We currently correspond with his gran dad who writes us in Spanish, and we hope to receive a letter from him as soon as he learns to read & write. Our dream is to go and visit him, one day. This is a reason why I ma learning Spanish.

If you want to follow our example, you can do it through Plan UK.

This morning a letter from Plan UK made my day: inside the envelope I found two fab photos of little Anibal Damian who moved me. He has grown up a lot since last time and he is more handsome than ever. He has got such a penetrating and cheeky look. The letter was from the local staff member updating me about Anibal Damian's family.

Here is the letter:

Anibal Damian's mother Elida told us that Anibal Damian enjoys playing with toys, but does not help his family with chores because he is too young. Anibal Damian has been healthy over the last year. He is attending a growth monitoring programme. The very sad news is that Miguel Avalos, Anibal Damian's grand father passed away last year due to cancer. He will be much missed by his fmaily.

The family uses a hole in the ground for their toilet facilities. There is enough water during both rainy and dry season. It comes from a domestic connection officially installed. The water is safe to drink at all times. The nearest health worker is a trained worker about two hours away.

Plan UK is working at different level to help Anibal Damian and his community.

Projects include training:
1. the local community members in project administration; and
2. the health promoters; and
3. the volunteers in maternal and infant care + communication;

The association though the local representatives and workers offers assistance in cases of emergency health, supports house-to-house vaccination campaigns, implements clean drinking water systems, constructs household sanitary facilities and supports early childhood stimulation activities as well as improving the quality of primary school education.

I am going to write a letter to him very soon and send a gift. I will keep you posted.

Le amiche di Carmilla -- in progress


I am very proud of my lady friends and I want to dedicate this page to them and their biography...


Federica

Magali


Beatrice

Vanessa

Laura

Arianna

Melanie

Simona

Francesca

Valentina

Friday, September 09, 2005

Movimento per la Decrescita Felice ~ MANIFESTO


18 dicembre 2004

Ciao Silvia e a tutti i tuoi corrispondenti.
Sono Maurizio Pallante. Per le vie misteriose della rete mi è arrivato il tuo e-mail in cui alla fine ti chiedevi chi io fossi. Ti invio un profilo pubblicato sulla quarta di copertina di un mio libro e allego il Manifesto del Movimento per la Decrescita Felice, di cui il testo sulle acque in bottiglia è uno sviluppo.
Un caro saluto e auguri di buone feste.
Maurizio Pallante

P.S. penso che tu faccia bene a distillarti in casa l'acqua del rubinetto


Maurizio Pallante, Roma 1947, vive da qualche anno in una cascina tra i boschi e le colline del Monferrato astigiano, dove coltiva qualche ortaggio per autoconsumo, legge per lo più libri di eretici del pensiero, scrive di tanto in tanto saggi per riviste a circolazione limitata e qualche libro: da Bollati Boringhieri: Le tecnologie di armonia, nel 1994; Scienza e ambiente. Un dialogo, con Tullio Regge, nel 1996; L’uso razionale dell’energia. Teoria e pratica del negawattora, con Mario Palazzetti, nel 1997; dal manifestolibri: Ricchezza ecologica, nel 2003; dagli Editori Riuniti: Metamorfosi di Bios, nel 2003 e Un futuro senza luce?, nel 2004; da Scheiwiller: I Tallone, nel 1989; dalle Edizioni del Leone di Venezia: Moesta et errabunda. Concerto per voce recitante e orchestra (poesie) nel 1986; L’estraneità, la ricerca e il tempo, poesie con 19 acquerelli di Gabriella Arduino, nel 1991; da Priuli & Verlucca editori: Un'idea di Roma, con acquerelli di Gabriella Arduino, Ivrea 2003.


Manifesto del Movimento per la Decrescita Felice
Maurizio Pallante



Lo yogurt prodotto industrialmente e acquistato attraverso i circuiti commerciali, per arrivare sulla tavola dei consumatori percorre da 1.200 a 1.500 chilometri, costa 5 euro al litro, viene confezionato al 95 per cento in vasetti di plastica quasi tutti monouso, raggruppati in imballaggi di cartoncino, subisce trattamenti di conservazione che spesso non lasciano sopravvivere i batteri da cui è stato formato.

Lo yogurt autoprodotto facendo fermentare il latte con opportune colonie batteriche non deve essere trasportato, non richiede confezioni e imballaggi, costa il prezzo del latte, non ha conservanti ed è ricchissimo di batteri.

Lo yogurt autoprodotto è pertanto di qualità superiore rispetto a quello prodotto industrialmente, costa molto di meno, contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 perché non comporta consumi di fonti fossili per il trasporto e per la produzione dei contenitori usa e getta, non produce rifiuti.

Tuttavia questa scelta, che migliora la qualità della vita di chi la compie e non genera impatti ambientali, comporta un decremento del prodotto interno lordo: sia perché lo yogurt autoprodotto non passa attraverso la mediazione del denaro, quindi fa diminuire la domanda di merci; sia perché non richiede consumi di carburante; quindi fa diminuire la domanda di merci; sia perché non richiede confezioni e imballaggi, quindi fa diminuire la domanda di merci; sia perché fa diminuire i costi di smaltimento dei rifiuti.

Ciò disturba i ministri delle finanze perché riduce il gettito dell’IVA e delle accise sui carburanti; i ministri dell’ambiente perché di conseguenza si riducono gli stanziamenti dei loro bilanci e non possono più sovvenzionare le fonti energetiche alternative nell’ottica dello «sviluppo sostenibile»; i sindaci, i presidenti di regione e di provincia perché non possono più distribuire ai loro elettori i contributi statali per le fonti alternative; le aziende municipalizzate e i consorzi di gestione rifiuti perché diminuiscono gli introiti delle discariche e degli inceneritori; i gestori di reti di teleriscaldamento alimentate da inceneritori, perché devono rimpiazzare la carenza di combustibile derivante da rifiuti (che ritirano a pagamento) con gasolio (che devono comprare).

Ma non è tutto.

Facendo diminuire la domanda di vasetti di plastica e di imballaggi in cartoncino, l’autoproduzione dello yogurt fa diminuire ulteriormente la domanda di petrolio. Sia quello che serve per produrre la plastica (due chili di petrolio per chilo di plastica), sia quello che serve per il carburante necessario a trasportare vasetti e imballaggi dalle fabbriche in cui vengono prodotti alle fabbriche in cui viene prodotto industrialmente lo yogurt. Comporta quindi una ulteriore diminuzione delle emissioni di CO2 e del prodotto interno lordo.

Ciò disturba una seconda volta i ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di regione e di provincia per le ragioni già dette.

Ma non è tutto.

I fermenti lattici contenuti nello yogurt fresco autoprodotto arricchiscono la flora batterica intestinale e fanno evacuare meglio. Le persone affette da stitichezza possono iniziare la loro giornata leggeri come libellule. Pertanto la qualità della loro vita migliora e il loro reddito ne ha un ulteriore beneficio, perché non devono più comprare purganti. Ma ciò comporta una diminuzione della domanda di merci e del prodotto interno lordo. Anche i purganti prodotti industrialmente e acquistati attraverso i circuiti commerciali, per arrivare nelle case dei consumatori percorrono migliaia di chilometri. La diminuzione della loro domanda comporta dunque anche una ulteriore diminuzione dei consumi di carburante e un ulteriore decremento del prodotto interno lordo.

Ciò disturba una terza volta i ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di regione e di provincia per le ragioni già dette.

Ma non è tutto.

La diminuzione della domanda di yogurt, di vasetti di plastica e di imballaggi in cartoncino, di purganti e della quantità di rifiuti, comporta una riduzione della circolazione degli autotreni che li trasportano e, quindi, una maggiore fluidità del traffico stradale e autostradale. Gli altri autoveicoli possono circolare più velocemente e si riducono gli intasamenti. Di conseguenza migliora la qualità della vita. Ma diminuiscono anche i consumi di carburante e si riduce il prodotto interno lordo.

Ciò disturba una quarta volta i ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di regione e di provincia per le ragioni già dette.

Ma non è tutto.

La diminuzione dei camion circolanti su strade e autostrade diminuisce statisticamente i rischi d’incidenti. Questo ulteriore miglioramento della qualità della vita indotto dalla sostituzione dello yogurt prodotto industrialmente con yogurt autoprodotto, comporta una ulteriore diminuzione del prodotto interno lordo, facendo diminuire sia le spese ospedaliere, farmaceutiche e mortuarie, sia le spese per le riparazioni degli autoveicoli incidentati e gli acquisti di autoveicoli nuovi in sostituzione di quelli non più riparabili.

Ciò disturba una quinta volta i ministri delle finanze e dell’ambiente, i sindaci, i presidenti di regione e di provincia per le ragioni già dette.

Il Movimento per la Decrescita Felice si propone di promuovere la più ampia sostituzione possibile delle merci prodotte industrialmente ed acquistate nei circuiti commerciali con l’autoproduzione di beni. In questa scelta, che comporta una diminuzione del prodotto interno lordo, individua la possibilità di straordinari miglioramenti della vita individuale e collettiva, delle condizioni ambientali e delle relazioni tra i popoli, gli Stati e le culture.

La sua prospettiva è opposta a quella del cosiddetto «sviluppo sostenibile», che continua a ritenere positivo il meccanismo della crescita economica come fattore di benessere, limitandosi a proporre di correggerlo con l’introduzione di tecnologie meno inquinanti e auspicando una sua estensione, con queste correzioni, ai popoli che non a caso vengono definiti «sottosviluppati».

Nel settore cruciale dell’energia, lo «sviluppo sostenibile», a partire dalla valutazione che le fonti fossili non sono più in grado di sostenere una crescita durevole e una sua estensione a livello planetario, ne propone la sostituzione con fonti alternative. Il Movimento per la Decrescita Felice ritiene invece che questa sostituzione debba avvenire nell’ambito di una riduzione dei consumi energetici, da perseguire sia con l’eliminazione di sprechi, inefficienze e usi impropri, sia con l’eliminazione dei consumi indotti da un’organizzazione economica e produttiva finalizzata alla sostituzione dell’autoproduzione di beni con la produzione e la commercializzazione di merci.

Questa prospettiva comporta che nei paesi industrializzati si riscoprano e si valorizzino stili di vita del passato, irresponsabilmente abbandonati in nome di una malintesa concezione del progresso, mentre invece hanno prospettive di futuro più ampie degli stili di vita moderni che li hanno sostituiti, non solo nei settori tradizionali dei bisogni primari, ma anche in alcuni settori tecnologicamente avanzati e cruciali per il futuro dell’umanità, come quello energetico, dove la maggiore efficienza e il minor impatto ambientale si ottengono con impianti di autoproduzione collegati in rete per scambiare le eccedenze.

Nei paesi lasciati in stato di indigenza dalla rapina delle risorse che sono state necessarie alla crescita economica dei paesi industrializzati, un reale e duraturo miglioramento della qualità della vita non potrà esserci riproducendo il modello dei paesi industrializzati, ma solo con una crescita dei consumi che non comporti una progressiva sostituzione dei beni autoprodotti con merci prodotte industrialmente e acquistate. Una più equa redistribuzione delle risorse a livello mondiale non si potrà avere se la crescita del benessere di questi popoli avverrà sotto la forma crescita del prodotto interno lordo, nemmeno se fosse temperata dai correttivi ecologici dello «sviluppo sostenibile». Che del resto è un lusso perseguibile solo da chi ha già avuto più del necessario da uno sviluppo senza aggettivi.

Per aderire al movimento è sufficiente
- autoprodurre lo yogurt o qualsiasi altro bene primario: la passata di pomodoro, la marmellata, il pane, il succo di frutta, le torte, l’energia termica e l’energia elettrica, oggetti e utensili, le manutenzioni ordinarie;
- fornire i servizi alla persona che in genere vengono delegati a pagamento: assistenza dei figli nei primi anni d’età, degli anziani e dei disabili, dei malati e dei morenti.
L’autoproduzione sistematica di un bene o lo svolgimento di un servizio costituisce il primo grado del primo livello di adesione. I livelli successivi del primo grado sono commisurati al numero dei beni autoprodotti e dei servizi alla persona erogati. L’autoproduzione energetica vale il doppio.
Il secondo grado di adesione è costituito dall’autoproduzione di tutta la filiera di un bene: dal latte allo yogurt; dal grano al pane, dalla frutta alla marmellata, dai pomodori alla passata, dalla gestione del bosco al riscaldamento. Anche nel secondo grado i livelli sono commisurati al numero dei beni autoprodotti e la filiera energetica vale il doppio.

La sede del Movimento per la Decrescita Felice viene stabilita presso….. (preferibilmente un’azienda agricola, o un laboratorio artigianale, o un servizio autogestito, o una cooperativa di autoproduzione, una bottega del commercio equo e solidale, ecc.)

settembre 2004

Wednesday, September 07, 2005

MAKE POVERTY HISTORY ~ MANIFESTO


TRADE JUSTICE. DROP THE DEBT. MORE & BETTER AID.


Today, the gap between the world’s rich and poor is wider than ever. Global injustices such as poverty, AIDS, malnutrition, conflict and illiteracy remain rife.

Despite the promises of world leaders, at our present sluggish rate of progress the world will fail dismally to reach internationally agreed targets to halve global poverty by 2015.

World poverty is sustained not by chance or nature, but by a combination of factors: injustice in global trade; the huge burden of debt; insufficient and ineffective aid. Each of these is exacerbated by inappropriate economic policies imposed by rich countries.

But it doesn’t have to be this way. These factors are determined by human decisions.

2005 offers an exceptional series of opportunities for the UK to take a lead internationally, to start turning things around. Next year, as the UK hosts the annual G8 gathering of powerful world leaders and heads up the European Union (EU), the UK Government will be a particularly influential player on the world stage.

A sea change is needed. By mobilising popular support across a unique string of events and actions, we will press our own government to compel rich countries to fulfil their obligations and promises to help eradicate poverty, and to rethink some long-held assumptions.

MakePovertyHistory urges the government and international decision makers to rise to the challenge of 2005. We are calling for urgent and meaningful policy change on three critical and inextricably linked areas: trade, debt and aid.

1. Trade justice
Fight for rules that ensure governments, particularly in poor countries, can choose the best solutions to end poverty and protect the environment. These will not always be free trade policies.
End export subsidies that damage the livelihoods of poor rural communities around the world.
Make laws that stop big business profiting at the expense of people and the environment.

The rules of international trade are stacked in favour of the most powerful countries and their businesses. On the one hand these rules allow rich countries to pay their farmers and companies subsidies to export food – destroying the livelihoods of poor farmers. On the other, poverty eradication, human rights and environmental protection come a poor second to the goal of ‘eliminating trade barriers’.

We need trade justice not free trade. This means the EU single-handedly putting an end to its damaging agricultural export subsidies now; it means ensuring poor countries can feed their people by protecting their own farmers and staple crops; it means ensuring governments can effectively regulate water companies by keeping water out of world trade rules; and it means ensuring trade rules do not undermine core labour standards.

We need to stop the World Bank and International Monetary Fund (IMF) forcing poor countries to open their markets to trade with rich countries, which has proved so disastrous over the past 20 years; the EU must drop its demand that former European colonies open their markets and give more rights to big companies; we need to regulate companies – making them accountable for their social and environmental impact both here and abroad; and we must ensure that countries are able to regulate foreign investment in a way that best suits their own needs.

2. Drop the debt
The unpayable debts of the world’s poorest countries should be cancelled in full, by fair and transparent means.

Despite grand statements from world leaders, the debt crisis is far from over. Rich countries have not delivered on the promise they made more than six years ago to cancel unpayable poor country debts. As a result, many countries still have to spend more on debt repayments than on meeting the needs of their people.

Rich countries and the institutions they control must act now to cancel all the unpayable debts of the poorest countries. They should not do this by depriving poor countries of new aid, but by digging into their pockets and providing new money.

The task of calculating how much debt should be cancelled must no longer be left to creditors concerned mainly with minimising their own costs. Instead, we need a fair and transparent international process to make sure that human needs take priority over debt repayments.

International institutions like the IMF and World Bank must stop asking poor countries to jump through hoops in order to qualify for debt relief. Poor countries should no longer have to privatise basic services or liberalise economies as a condition for getting the debt relief they so desperately need.

And to avoid another debt crisis hard on the heels of the first, poor countries need to be given more grants, rather than seeing their debt burden piled even higher with yet more loans.

3. More and better aid
Donors must now deliver at least $50 billion more in aid and set a bindingtimetable for spending 0.7% of national income on aid. Aid must also be madeto work more effectively for poor people.

Poverty will not be eradicated without an immediate and major increase in international aid. Rich countries have promised to provide the extra money needed to meet internationally agreed poverty reduction targets. This amounts to at least $50 billion per year, according to official estimates,and must be delivered now.Rich countries have also promised to provide 0.7% of their national income in aid and they must now make good on their commitment by setting a binding timetable to reach this target.

However, without far-reaching changes in how aid is delivered, it won’t achieve maximum benefits. Two key areas of reform are needed.

First, aid needs to focus better on poor people’s needs. This means more aid being spent on areas such as basic healthcare and education. Aid should no longer be tied to goods and services from the donor, so ensuring that more money is spent in the poorest countries. And the World Bank and the IMF must become fully democratic in order for poor people’s concerns to be heard.

Second, aid should support poor countries and communities’ own plans and paths out of poverty. Aid should therefore no longer be conditional on recipients promising economic change like privatising or deregulating their services, cutting health and education spending, or opening up their markets: these are unfair practices that have never been proven to reduce poverty. And aid needs to be made predictable, so that poor countries can plan effectively and take control of their own budgets in the fight against poverty.


MakePovertyHistory is a unique UK alliance of charities, trade unions, campaigning groups and celebrities who are mobilising around key opportunities in 2005 to drive forward the struggle against poverty and injustice.

Text by
© Make Poverty History